Scoprire come diversificare le iniziative innovative per massimizzare il valore nel medio-lungo termine
Introduzione
Ti è mai successo di lanciare un prodotto di successo e poi restare a corto di novità per mesi, se non anni? Quando accade, spesso la causa è un portafoglio di innovazione sbilanciato: l’azienda investe tutto su poche idee-«campione» e non su una combinazione equilibrata di progetti piccoli, medi e grandi. Nelle piccole e medie imprese (PMI) questo squilibrio è comune, perché le risorse (tempo, persone e denaro) sono limitate e l’operatività quotidiana soffoca la pianificazione di lungo periodo.
La ricerca dimostra che non basta avviare tanti progetti «a casaccio». Serve una regia capace di bilanciare esplorazione(cercare strade nuove, anche rischiose) e sfruttamento (migliorare ciò che già funziona). Solo così le PMI possono produrre un flusso costante di innovazioni, riducendo periodi di stallo e il rischio di essere superate dai concorrenti.
In questo articolo troverai un percorso pratico—arricchito da studi recenti e da strumenti operativi come Innoframe – per:
- capire perché il portafoglio tende a sbilanciarsi;
- riconoscere i segnali d’allarme in tempo;
- intervenire con azioni mirate per riequilibrarlo;
- misurare i progressi con indicatori semplici e immediati.
Indice
- Cos’è (davvero) un portafoglio di innovazione e perché tende a sbilanciarsi
- I sintomi di un portafoglio sbilanciato nelle PMI
- Le cause strutturali: risorse, cultura e governance
- Strategie di riequilibrio: diversificare iniziative e orizzonti temporali
- Strumenti operativi: IPM, Innoframe e reti di Open Innovation
- Metriche e processi di miglioramento continuo
1. Cos’è (davvero) un portafoglio di innovazione e perché tende a sbilanciarsi
Quando si parla di innovazione, molte PMI pensano subito a un’idea vincente: un nuovo prodotto, un processo più efficiente, un salto tecnologico. Ma l’innovazione non è un evento isolato. È, piuttosto, un processo continuo che dovrebbe generare risultati nel tempo, come una pianta che dà frutti a più riprese. Qui entra in gioco il concetto di portafoglio di innovazione: un insieme di progetti e iniziative – grandi o piccole, certe o sperimentali – che l’azienda porta avanti per creare nuovo valore.
Pensiamo al portafoglio di innovazione come a un giardino: non si piantano solo alberi che danno frutto domani, né solo semi che richiederanno anni per crescere. Un buon giardiniere sa diversificare: coltiva ortaggi da raccogliere in fretta, piante per la stagione successiva e qualche varietà rara che, se cresce bene, può dare risultati straordinari. Allo stesso modo, un’impresa deve bilanciare progetti a breve termine (che migliorano l’esistente), iniziative a medio termine (che aprono nuovi segmenti o mercati) e scommesse sul futuro (idee radicali, rischiose ma promettenti).
Tuttavia, nella realtà delle PMI, questo equilibrio è spesso difficile da mantenere. Le risorse – sia economiche che umane – sono limitate. Il tempo è assorbito dalle urgenze quotidiane. La priorità è tenere il business attuale in salute, non immaginare quello di domani. Il risultato? Le aziende tendono a concentrare tutto su una o poche iniziative, spesso legate al core business, trascurando l’esplorazione di strade nuove. Questo porta a un portafoglio «sbilanciato»: troppo focalizzato su ciò che già funziona (innovazione incrementale) e troppo povero di progetti esplorativi o trasformativi.
Un altro rischio è la cosiddetta “dipendenza da un progetto eroe”: un’unica idea catalizza tutto l’entusiasmo, tutti gli investimenti e tutto il tempo del team. Se va bene, può sembrare un successo travolgente, ma, se fallisce – o semplicemente esaurisce il suo potenziale – l’azienda si trova senza alternative pronte. Il tempo perso per diversificare non si recupera facilmente.
Le ricerche confermano questo pattern: molte PMI hanno un portafoglio troppo “monocorde”, poco diversificato per tipo di innovazione, per grado di rischio o per orizzonte temporale. Il risultato è una curva di rendimento instabile: qualche successo sporadico, ma pochi risultati sostenibili nel tempo. Invece di costruire un flusso costante di valore, l’azienda vive di picchi e cali, sperando che la prossima “grande idea” arrivi prima che si esauriscano energie e budget.
Capire cos’è un portafoglio di innovazione e come funziona è quindi il primo passo per uscire da questa dinamica. Solo con una visione sistemica – e strumenti adeguati – è possibile costruire un mix equilibrato di progetti, capace di sostenere davvero la crescita futura.
2. I sintomi di un portafoglio sbilanciato nelle PMI
Capire se il proprio portafoglio di innovazione è sbilanciato non è immediato. Le PMI, in particolare, tendono a concentrarsi sull’operatività quotidiana, ed è facile confondere segnali di allarme con normali difficoltà di gestione. Tuttavia, ci sono alcuni indizi ricorrenti che possono indicare che l’azienda sta puntando troppo su poche iniziative, o che sta trascurando il medio-lungo termine.
Il primo segnale evidente è la discontinuità nei risultati. In altre parole: ogni tanto arriva un successo importante—magari un nuovo prodotto che funziona bene sul mercato—ma questi momenti sono seguiti da lunghi periodi di stallo, senza novità rilevanti. Questo accade perché l’azienda concentra tutte le risorse su un solo progetto alla volta. Quando quel progetto finisce, ci si accorge che non c’è nulla di pronto per prendere il suo posto. L’innovazione diventa così un evento raro, non un processo continuo.
Un secondo sintomo è rappresentato dai picchi improvvisi di assorbimento di risorse. Un progetto innovativo, se non ben integrato nel portafoglio complessivo, può consumare tempo, denaro e personale in modo eccessivo. Questo genera stress organizzativo e costringe spesso a rallentare o sospendere altre iniziative. La situazione tipica è quella di un’azienda che parte con entusiasmo, ma che a metà strada si rende conto che mancano le forze per sostenere lo sviluppo, con conseguente blocco dell’intero sistema.
Un portafoglio sbilanciato si riconosce anche dall’assenza di una pipeline di progetti. In pratica, non ci sono iniziative in fase iniziale pronte a subentrare a quelle ormai mature. Questo è un problema perché l’innovazione richiede tempo: se si aspetta che un progetto finisca per iniziare il successivo, si perdono mesi o anni. Le aziende più efficaci hanno sempre qualche idea in fase esplorativa, pronta a essere testata e sviluppata.
Altro sintomo critico è la dipendenza eccessiva da risorse interne. Le PMI che faticano a collaborare con partner esterni – come università, startup o fornitori – tendono a chiudersi in sé stesse. Questo limita l’accesso a nuove competenze e tecnologie, rallentando il ritmo dell’innovazione. Spesso la motivazione è la paura di “farsi rubare l’idea”, ma in realtà l’isolamento è molto più rischioso.
Infine, è importante considerare la fatica organizzativa. Quando il portafoglio è mal distribuito, il carico di lavoro si concentra su pochi team o persone, generando stress, turnover o addirittura burnout. Il risultato? La capacità di innovare si riduce drasticamente, proprio quando servirebbe un rilancio.
In sintesi, se in azienda si registrano successi isolati, stress organizzativo, assenza di nuove idee pronte e scarsa collaborazione esterna, è molto probabile che il portafoglio di innovazione sia fuori equilibrio. Riconoscere questi segnali in tempo è il primo passo per rimettere in moto un ciclo virtuoso.
3. Le cause strutturali: risorse, cultura e governance
Perché il portafoglio di innovazione di una PMI tende a sbilanciarsi? Non è solo una questione di scelte sbagliate o mancanza di visione. Le cause sono spesso strutturali, cioè legate al modo in cui l’azienda è organizzata, alle sue risorse e alla cultura interna. Capirle è fondamentale per poter intervenire in modo efficace e realistico.
La prima causa è la limitata disponibilità di risorse, sia economiche che umane. Le PMI, per definizione, non hanno grandi budget da destinare alla ricerca e sviluppo, né team dedicati esclusivamente all’innovazione. Le stesse persone che devono gestire la produzione, i clienti o le vendite, sono anche quelle chiamate a “fare innovazione”. Questo significa che ogni nuova iniziativa deve competere con l’operatività quotidiana per ottenere tempo ed energie. Il risultato? Spesso si sceglie un solo progetto “promettente” e si punta tutto su quello, lasciando da parte qualsiasi diversificazione.
In secondo luogo, un ruolo importante è giocato dalla cultura aziendale. Alcune PMI hanno un approccio molto cauto all’innovazione: temono il rischio, sono restie a condividere idee con l’esterno, e preferiscono lavorare “in casa” per mantenere il controllo. Questo atteggiamento può sembrare prudente, ma in realtà limita fortemente le possibilità di sviluppo. Altre imprese, invece, si aprono troppo rapidamente, magari stipulando accordi poco chiari con partner esterni, finendo per disperdere valore o perdere il controllo sui propri asset strategici. La verità sta nel mezzo: serve una cultura dell’apertura protetta, che valorizzi le collaborazioni ma anche la gestione consapevole della proprietà intellettuale.
Infine, c’è il tema della governance, ovvero di come vengono prese le decisioni strategiche in azienda. In molte PMI, la scelta dei progetti da sviluppare è ancora guidata dall’intuizione dell’imprenditore o dalle esigenze più urgenti, piuttosto che da un processo strutturato di valutazione e priorità. Manca un sistema per confrontare in modo oggettivo le diverse opportunità, valutare i rischi, monitorare i progressi e, soprattutto, capire quando è il momento di fermare un progetto che non sta dando risultati. Senza una governance chiara, il portafoglio di innovazione diventa facilmente vittima di mode, pressioni interne o investimenti emotivi.
In sintesi, risorse scarse, cultura sbilanciata e assenza di una regia strategica sono i tre fattori principali che portano le PMI a costruire portafogli di innovazione fragili e poco sostenibili. Per invertire la rotta non servono miracoli, ma consapevolezza e un metodo semplice per prendere decisioni più equilibrate, anche in contesti con risorse limitate.
4. Strategie di riequilibrio: diversificare iniziative e orizzonti temporali
Una volta riconosciuto che il portafoglio di innovazione è sbilanciato, la domanda più importante è: come si può riequilibrare? La risposta sta in una parola chiave: diversificazione. Ma non si tratta semplicemente di “fare più cose”, bensì di distribuire consapevolmente le iniziative su diversi orizzonti temporali e tipologie di innovazione, tenendo conto del livello di rischio, del potenziale di ritorno e delle risorse disponibili.
Immaginiamo il portafoglio di innovazione come un tavolo con tre gambe: se una delle gambe è troppo corta o troppo lunga, tutto diventa instabile. Le tre gambe sono rappresentate dai cosiddetti orizzonti dell’innovazione, un modello semplice ma efficace per strutturare il pensiero strategico. Questo schema divide i progetti in tre categorie:
- Orizzonte 1 (H1): riguarda il breve termine, cioè da 0 a 2 anni. Qui rientrano le innovazioni incrementali, cioè piccoli miglioramenti a prodotti, servizi o processi esistenti. Sono progetti a basso rischio, che generano ritorni più prevedibili.
- Orizzonte 2 (H2): copre un periodo medio, tra 2 e 5 anni. Comprende iniziative adiacenti, cioè che si basano su competenze già presenti ma vengono applicate a nuovi mercati, canali o modelli di business. Richiedono più investimento e attenzione.
- Orizzonte 3 (H3): è il lungo termine, oltre i 5 anni. Qui si trovano le innovazioni più radicali, quelle che potrebbero trasformare completamente l’azienda o il settore in cui opera. Sono progetti rischiosi, ma potenzialmente molto redditizi.
Per una PMI, una buona strategia prevede una distribuzione bilanciata su questi tre orizzonti: circa 50–60% dei progetti nel breve termine (H1), 25–35% nel medio (H2) e un 10–15% nel lungo periodo (H3). Questo non significa investire grandi somme in ogni area, ma destinare almeno qualche risorsa – anche solo tempo o piccole sperimentazioni – a ciascuna di esse.
Una tecnica utile per farlo è pensare in termini di opzioni. Come nel mondo degli investimenti, un’“opzione” è una piccola scommessa che, se funziona, può essere sviluppata e portata sul mercato. E se non funziona? Si chiude rapidamente, senza che l’azienda abbia perso troppo. Questo approccio consente di esplorare nuove idee senza compromettere la stabilità dell’impresa.
Un altro consiglio importante è evitare che un unico progetto assorba tutte le risorse. Anche se un’idea sembra promettente, è rischioso puntare tutto su di essa. Meglio adottare una logica da “portafoglio bilanciato”, in cui più progetti, con rischi e orizzonti diversi, convivono e si alimentano a vicenda.
In sintesi, riequilibrare il portafoglio significa pensare come un investitore strategico, non come un giocatore d’azzardo. Diversificare per orizzonte temporale e per tipo di innovazione aiuta a stabilizzare la crescita, ridurre i momenti di stallo e costruire un futuro più solido per l’azienda, anche in contesti incerti.
5. Strumenti operativi: IPM, Innoframe e reti di Open Innovation
Una volta compresa la necessità di diversificare il portafoglio di innovazione, molte PMI si chiedono: da dove cominciare concretamente? Quali strumenti possiamo usare, anche con risorse limitate? La buona notizia è che oggi esistono modelli operativi pensati proprio per le piccole e medie imprese, semplici da adattare e applicare con metodo. I tre strumenti più utili sono: l’Innovation Portfolio Management (IPM), il framework Innoframe e le reti di Open Innovation.
Partiamo dall’IPM, che sta per Innovation Portfolio Management. È un metodo che aiuta a scegliere, organizzare e monitorare i progetti di innovazione come se fossero investimenti in un portafoglio finanziario. L’idea è che, esattamente come un investitore diversifica tra azioni sicure e rischiose, anche un’impresa debba distribuire i suoi sforzi tra progetti a breve, medio e lungo termine. Applicare l’IPM non richiede software costosi o team dedicati: bastano alcuni passaggi fondamentali, che anche una PMI può adottare in modo “leggero”. Prima di tutto serve una valutazione strategica delle idee, per capire quali sono allineate agli obiettivi aziendali. Poi bisogna allocare le risorse con criterio, in base alla tolleranza al rischio e alle priorità. Infine, è essenziale un monitoraggio continuo delle performance per ribilanciare il portafoglio nel tempo.
Accanto all’IPM, uno strumento molto utile per le PMI è Innoframe, un framework multilivello sviluppato proprio per aiutare imprese di piccole dimensioni a gestire l’innovazione in modo strutturato. Innoframe propone un approccio a due livelli: da un lato la gestione dei singoli progetti (project management), dall’altro la visione d’insieme del portafoglio(portfolio management). Integra inoltre una griglia di valutazione della performance che permette di misurare l’avanzamento e il valore generato da ciascuna iniziativa. È un modello flessibile, già testato in settori come l’edilizia e l’industria, ma adattabile anche ad ambiti come il digitale o i servizi.
Il terzo strumento fondamentale è l’Open Innovation, cioè la capacità di collaborare con partner esterni – università, startup, fornitori, clienti – per accelerare lo sviluppo di nuove idee. Le ricerche mostrano che le PMI che fanno innovazione “in rete” riescono a ridurre i costi di sviluppo, accedere a competenze specialistiche e aumentare la velocità di esecuzione. Certo, per funzionare bene, le collaborazioni devono essere gestite con chiarezza: servono accordi precisi su proprietà intellettuale, obiettivi comuni e ruoli di ciascun attore. Ma il valore potenziale è enorme.
In conclusione, gestire un portafoglio di innovazione in modo professionale non è più un lusso riservato alle grandi aziende. Anche una PMI può strutturarsi con strumenti semplici ma efficaci come IPM, Innoframe e reti di Open Innovation. L’importante è cominciare con metodo, fare piccoli passi e imparare lungo il percorso. L’innovazione, infatti, non nasce solo dalle idee, ma anche dalla capacità di organizzarle e trasformarle in risultati concreti.
6. Metriche e processi di miglioramento continuo
Una delle convinzioni più diffuse tra le PMI è che l’innovazione sia un terreno dominato dalla creatività e dall’intuito, poco compatibile con logiche di misurazione. In realtà, per ottenere risultati duraturi, innovare va trattato come un processo strategico, non come un’attività estemporanea. E come ogni processo strategico, ha bisogno di metriche, cioè indicatori che aiutino a capire cosa funziona, cosa no e dove intervenire. Ma non basta misurare: è altrettanto importante rivedere periodicamente il portafoglio di innovazione, per ricalibrarlo in base all’evoluzione del mercato, delle risorse disponibili e degli obiettivi aziendali.
Una prima metrica fondamentale è la distribuzione degli investimenti tra i tre orizzonti dell’innovazione (breve, medio e lungo termine). Se, ad esempio, più del 70% del budget è concentrato su progetti di breve periodo (innovazione incrementale), è probabile che l’azienda stia trascurando le opportunità future. Viceversa, se investe troppo in iniziative esplorative ma senza ritorni concreti, rischia di esaurire le risorse prima di vedere i risultati. Mantenere un equilibrio tra i tre orizzonti (ad esempio 60% su H1, 30% su H2, 10% su H3) aiuta a costruire un portafoglio solido e dinamico.
Un secondo indicatore utile è il cosiddetto Innovation Conversion Rate, cioè il tasso con cui le idee generate si trasformano in progetti concreti e, successivamente, in prodotti o servizi lanciati sul mercato. Se si generano molte idee ma poche arrivano a compimento, forse il processo di selezione è inefficace o mancano le risorse per lo sviluppo. Viceversa, un tasso troppo alto potrebbe indicare che si è troppo prudenti e si sperimenta poco.
Altre metriche importanti riguardano i tempi di validazione (quanto tempo serve per capire se un’idea ha potenziale), ilvalore atteso dei progetti (spesso calcolato con indicatori come il valore attualizzato netto, NPV) e la velocità di apprendimento, misurabile ad esempio con il numero di esperimenti condotti in un trimestre.
Tutte queste informazioni dovrebbero confluire in un cruscotto semplificato, da aggiornare ogni tre mesi. Questo consente al team direzionale – anche in una piccola impresa – di fare il punto della situazione, decidere eventuali riallocazioni di risorse, fermare progetti in difficoltà o potenziare quelli promettenti. Non servono software complicati: basta un foglio di calcolo ben strutturato e la volontà di usarlo con costanza.
In definitiva, misurare e migliorare in modo continuo è ciò che trasforma l’innovazione da scommessa a processo sostenibile. Con indicatori chiari e un metodo di revisione regolare, anche una PMI può costruire nel tempo un portafoglio di progetti robusto, bilanciato e capace di adattarsi alle sfide del mercato.
Considerazioni finali
Uno sbilanciamento del portafoglio di innovazione non è una colpa: è la conseguenza naturale della scarsità di risorse e dell’urgenza quotidiana tipiche delle PMI. Diventa però pericoloso se ignorato: i successi restano isolati, la competitività si erode, i talenti si demotivano.
Riequilibrare richiede intenzionalità strategica (decidere i pesi target), strumenti adeguati (IPM semplificato, Innoframe, dashboard KPI) e apertura verso l’esterno (reti di Open Innovation). La buona notizia è che il portfolio-thinking, nato per le multinazionali tecnologiche, oggi è traducibile in logiche leggere e progressi iterativi compatibili con le risorse di una PMI.
Il passo successivo? Convocare un «Portfolio Reset Workshop»: mezza giornata per mappare l’attuale mix di progetti, confrontarlo con la griglia H1-H2-H3, definire tre azioni di riallocazione immediata. Piccoli spostamenti oggi possono prevenire grandi squilibri domani.
In un mercato dove l’incertezza è la nuova costante, il vero rischio non è sperimentare troppo, ma innovare a singhiozzo. Bilanciare il portafoglio significa trasformare i colpi di genio in risultati sostenibili – e restituire alla tua PMI il potere di decidere il proprio futuro.
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Sono un Innovation Manager certificato UNI 11814, con esperienza pluriennale validata da enti pubblici e una profonda conoscenza delle linee guida ISO 56000 sulla gestione dell’innovazione. Da anni supporto le PMI nel costruire strategie di innovazione solide, sostenibili e allineate agli obiettivi aziendali.
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Bibliografia
- Bennett, N. (s.d.). Innovation Portfolio Management for SMEs. Slide set interno.
– Documento guida che illustra un modello semplificato di gestione del portafoglio di innovazione applicabile alle PMI, con enfasi su allocazione risorse, bilanciamento tra exploit ed explore, e strumenti di controllo. - Fiorentino, V. R. (2023). Open Innovation nelle PMI italiane: ostacoli, vantaggi e prospettive future. Tesi di laurea, Università degli Studi di Milano.
– Analisi approfondita del concetto di Open Innovation applicato alle PMI italiane, con evidenza delle principali barriere culturali e operative. - Mishly Tereso et al. (2021). Innoframe – A Project and Portfolio Management Multilayer Framework to Support Innovation-driven SMEs.
– Proposta di un framework multilivello per gestire l’innovazione nelle PMI, integrando project management, portfolio management e misurazione delle performance. - Unioncamere del Veneto – Veneto Innovazione (2014). L’apertura del processo di innovazione nelle PMI venete.
– Studio sul grado di apertura all’innovazione nelle imprese del Veneto, con focus sulle collaborazioni esterne e sugli strumenti di innovazione adottati. - Giorgio Aprile (2020). Ottimizzazione di portafoglio: benefici dell’approccio bayesiano di Black & Litterman
- Horizon Scanning Report e modelli a tre orizzonti (McKinsey, 2009) – Sebbene non citato direttamente, il modello H1-H2-H3 è ormai una pratica diffusa nel design dei portafogli di innovazione, e ha ispirato l’approccio presentato in questo articolo.
- Chesbrough, H. (2003). Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology. Harvard Business School Press.
– Riferimento teorico fondamentale per comprendere l’importanza dell’apertura nel processo di innovazione, soprattutto in contesti a risorse limitate come le PMI.